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venerdì 17 dicembre 2010

ULTIME NOTIZIE DALLA STAMPA COMUNISTA

The New York Times  - "Berlusconi si aggrappa al potere con le unghie ma la grande sconfitta è l’Italia".
Financial Times - "Berlusconi si è aggrappato al voto di fiducia ma ora è un leader fortemente indebolito".

Un saluto fraterno ai compagni di queste due gloriose testate della sinistra estrema. 

mercoledì 8 dicembre 2010

Proposte di nuovi comandi per Facebook

 ...quasi in tempo reale un franco e creativo scambio di battute (grazie alla mia amica Emy per lo stimolante tema proposto).
 Emy scrive:
A volte vorrei che esistesse il "Non mi piace". Quanti click metterei! Specialmente a chi freme per un "Mi piace" a tutti i costi.
49 minuti fa · ·
  • Ti piace.
    • Micky Ansel io abolirei ambedue. solo commenti, nel caso.
      20 minuti fa ·
    • Emy Canale Io sono per il pluralismo. :) Aggiungerei anche l'opzione "E chi s'an fott'?"
      17 minuti fa · · 1 personaCaricamento in corso...
    • Giovanni Capozzi Condivido, Emy, condivido. In più ci vorrebbero i tasti del tipo: "sei squallido/a", "è una cazzata", "fai schifo" e "impìccati". :-D
      16 minuti fa · · 1 personaCaricamento in corso...
    • Emy Canale Buongiorno, Giovanni! Great minds think alike, chettedevodì? Opzioni approvate! :)
      15 minuti fa ·
    • Emy Canale E rilancio con i seguenti pulsanti-verità: "Rileggiti", "Sei noioso/a", "Piantala di fare autopromozione" e "Impara l'italiano".
      6 minuti fa · · 1 personaCaricamento in corso...
    • Giovanni Capozzi ‎... non male anche "impara l'educazione", "cerca di maturare" e "non rubare i pensieri che non sei capace di produrre".
      3 minuti fa ·
    • Emy Canale Oh yeah.
      2 minuti fa ·

lunedì 25 ottobre 2010

Ancora un nuovo costo per servizi finanziari

Ho appena scoperto che il sistema di informazioni per Cartasì da telefono fisso non è più gratuito, ma è a pagamento dal primo ottobre.
Noi consumatori siamo sempre il popolo bue. Sono veramente arrabbiato.

domenica 24 ottobre 2010

Le parole e lo spirito dei popoli

Le parole a volte rappresentano lo spirito di un popolo.
Noi diciamo "paracadutismo", gli anglosassoni invece "sky diving".
C'è un abisso di differenza. Enorme.

Del cascare sul casco: Umberto Ambrosoli


Umberto Ambrosoli

“Finora qui a Napoli non ho visto nessuno indossare il casco andando in motocicletta”: ecco la battutina luogocomunista dispensata ieri nella mia città a un uditorio di dottori commercialisti - riuniti alla Mostra d’Oltremare per il congresso di categoria - da Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio Ambrosoli, “eroe borghese” ucciso per il suo ruolo di liquidatore dell’impero del bancarottiere Michele Sindona.
Confesso: la battuta – nell’ambito di un sacrosanto discorso sulla necessità di rispettare le regole - mi ha molto indispettito (in sala si è anche percepito qualche segno di disappunto) e, soprattutto, mi è sembrata superflua.
Mi sono chiesto: Perché?
Perché Ambrosoli junior - personaggio al quale si devono solidarietà umana per il dramma che lo ha colpito, stima per il nome che porta, apprezzamento per i suoi toni misurati – è scivolato così scioccamente sulla buccia di banana del luogo comune?
Non aveva certo bisogno di trovate ad effetto per conquistare la platea, no?
E, allora, ripeto: perché ha detto questa banalità che bene sarebbe stata in bocca – che so io – al “Trota”? Napoli non è certo la capitale della legalità, ma in fondo l’obbligo del casco è rispettato da tanti miei concittadini. 
Meglio, dalla maggioranza dei miei concittadini, a quanto vedo.
Umberto Ambrosoli era a Napoli per portare una testimonianza di impegno civile nella professione, per chiudere degnamente un congresso di professionisti, per ricordare che talvolta certi “no” vanno detti, magari anche a costo della vita.
Peccato si sia lasciato scappare quella banalità.
Umberto Ambrosoli è cascato sul casco (ora la battuta me la concedo io…).

martedì 19 ottobre 2010

Del chiedere, dell'ascoltare. E del tacere.

Tutti sanno chiedere. 

Pochi sanno ascoltare. 

Pochissimi sanno tacere appropriatamente. 

Molti tacciono a sproposito. 

                            

(Giovanni Capozzi)

venerdì 15 ottobre 2010

martedì 12 ottobre 2010

Dedicato a Marilyn - Frase palindroma

Girovagando sulla rete ho pescato una bella frase palindroma.


L'ho dedicata a Marilyn. Eccola:


AVIDA DI VITA DESIAI OGNI AMORE VERO, 
MA INGOIAI SEDATIVI DA DIVA

domenica 10 ottobre 2010

Facebook: una piattaforma sempre più umana :-P

La piattaforma-Fb, in questi ultimi tempi, è davvero una fetenzia. Instabile e inaffidabile. Proprio come certe persone. Dal che se ne deduce che la piattaforma-Fb si sta umanizzando :-) ...

martedì 5 ottobre 2010

L'illusione del dialogo religioso

Stamattina - sull'onda di certi recenti episodi - sento molto parlare di dialogo tra le religioni. A volte ho la sensazione che sia una gran cazzata. Religione significa una visione totalizzante dell'immanente e del trascendente. E come possono dialogare visioni totalizzanti? (questo è sicuramente un pensiero rozzo, ma mi sono svegliato da poco)

lunedì 4 ottobre 2010

La filosofia degli Ersatz

Non pensate male dei surrogati.

Anche la Nutella lo è.

James Bond and The Beatles: 50 anni di feeling



5 ottobre 1962: esce sugli schermi “Dr No”, Licenza di uccidere. E’ il primo capitolo della saga cinematografica di 007,  è l’inizio del mito di Sean Connery.

5 ottobre 1962: esce in Inghilterra il primo 45 giri ufficiale dei Beatles, “Love me do”. E’ l’inizio di una leggenda, nella storia della musica e del costume, del Ventesimo secolo.

In un solo giorno la Gran Bretagna regala al mondo due icone della cultura popolare.
Due icone che viaggeranno spesso insieme. Due leggende.
Ma che cosa hanno in comune un gruppo musicale e l’Agente-segreto-meno-segreto-del-mondo?

Molto più di quanto si possa pensare.

Le curiosità non mancano. Basta ripercorrere la storia dei Beatles e la saga di James Bond per scoprirle.

Nel terzo film della serie dedicata a 007, “Goldfinger”, James Bond dice che “ci sono cose che assolutamente non si fanno, come bere champagne Dom Perignon a una temperatura superiore ai 4 gradi centigradi. Sarebbe come ascoltare i Beatles – aggiunge – senza i tappi nelle orecchie”…
... e un anno dopo il secondo film con i Beatles -  “Help” - è pieno di allusioni alle spy stories e prese in giro del mito bondiano.
Non basta: in alcuni paesi il brano che dà il titolo al film esce addirittura in una versione il cui incipit non è altro che il celeberrimo “James Bond Theme”, da quasi cinquant’anni refrain di attacco di tutte le pellicole ispirate all’agente creato da Ian Fleming.

Gli anni passano e nel 1974 Paul McCartney, ormai ex-beatle, sarà l’autore e l’interprete di “Live and let die”, colonna sonora dell’omonimo film bondiano interpretato da Roger Moore. 
La “pax musicale” tra 007 e i Beatles è fatta.

E a suggellare questa pace giunge anche un matrimonio: nel 1981 Ringo Starr sposa un’ex Bond-girl, Barbara Bach, che interpreta il ruolo dell’agente sovietico Anya Amasova nel film “The spy who loved me” (La spia che mi amava), uscito nel 1977.

Si può ancora aggiungere che il James Bond dello schermo viaggia spesso in Aston Martin (nei romanzi la sua vettura personale è una Bentley), auto amata anche da Paul McCartney negli anni Sessanta.
E proprio al volante di un’Aston Martin Paul McCartney ebbe un leggero incidente d’auto da cui uscì solo con un incisivo rotto. Ma l'episodio alimentò una delle più inquietanti leggende metropolitane del Novecento: quella secondo cui il bello dei Beatles sarebbe morto nel 1967 e che il suo posto sarebbe stato preso da un sosia (incredibilmente dotato del suo stesso talento…).
Il marchio Aston Martin, insomma, unisce Bond e i Fab Four … e non dimentichiamo che un certo Martin, George Martin, celeberrimo produttore discografico britannico, è stato determinante per il successo dei Beatles. (spesso è stato chiamato il “quinto beatle”).

… ancora un attimo: 
non solo McCartney è stato creduto morto, ma anche James Bond!
Accade nel romanzo You Only Live Twice (Si vive solo due volte): 007 è dato per defunto dopo una rischiosa missione in Giappone e ben due pagine del libro sono dedicate all’immaginario necrologio del Comandante Bond apparso sul Times.
Un necrologio in cui Ian Fleming si diverte con strizzatine d’occhio dedicate ai lettori più affezionati, affermando che alle vicende del Comandante Bond sono stati ispirati anche alcuni romanzi “molto popolari scritti (…) da un suo amico ed ex collega. Se la qualità di quei libri, o il loro grado di veridicità si fossero avvicinati alla realtà, l’autore sarebbe stato certamente processato per violazione della Legge sui Segreti di Stato. Il fatto che – conclude Fleming - non si sia ancora preso alcun provvedimento contro l’autore e l’editore di queste fantasticherie e delle romanzesche contraffazioni degli episodi della carriera di un valoroso impiegato del Governo, è la prova dello spregio (!) in cui sono tenuti tali romanzi”. Nientemeno.

James Bond 007, lo spietato e freddo agente “al servizio di sua Maestà” nato dalla fantasia di Fleming, probabilmente non avrebbe mai ascoltato i Beatles (il Bond dei romanzi – che io prediligo – è tutt’altra cosa rispetto al suo alter ego di celluloide, ben più frivolo e assai meno drammatico) , ma resta il fatto che la leggenda dell’Agente-segreto-meno-segreto-del-mondo ha spesso incrociato quella dei Favolosi Quattro in un intrigante cross-over…   (... e non finisce qui)

domenica 3 ottobre 2010

Traduttore=Traditore

Propongo alcune considerazioni - che condivido completamente - della mia amica Emy Canale, pubblicate qualche giorno fa su Facebook:


"Ho deciso: chi è bilingue non può continuare a leggere libri inglesi tradotti in italiano. Soffre immensamente. Sono tradotti TROPPO male. Refusi à gogo, italiano incerto, pessima resa del registro linguistico, idioms fraintesi perché sconosciuti a chi traduce. Mondadori, Einaudi, Rizzoli, ma che orrori ci offrite! Basta. Mandate i vostri traduttori per qualche anno in Inghilterra".


Aggiungo: è sorprendente constatare tanta sciatteria nelle traduzioni, anche da parte di editori che non hanno certo problemi di contenimento all'osso dei costi. 
Quest'estate ho mandato in malora un romanzo di Faulkner, proprio perché ho intuito che il testo originale era stato stuprato da una traduzione pedestre.
Quello delle traduzioni sciatte è un tema che voglio approfondire. 
Pubblicare un libro tradotto con sciatteria è, almeno, un doppio insulto: nei confronti dell'autore e nei confronti del lettore.

Il fascino discreto di Scotland Yard (Melissa e The Blue Lamp)

Mi è sempre piaciuta la sequenza di apertura di "Melissa", un classico poliziesco Rai degli anni in cui la tv era in bianco e nero, di Francis Durbridge.

http://www.youtube.com/watch?v=iJ7pr-5QgN8

Una Wolseley della Polizia britannica
(non è il modello che si vede in Melissa, ma è ugualmente old fashioned)
Mi piacciono le immagini di Londra, mi piace la sobria Wolseley usata dai poliziotti londinesi.

Da poco ho scoperto che quella sequenza si ispira evidentemente alle scene iniziali di un classico film inglese del 1950: The Blue Lamp, diretto da Basil Dearden

http://www.youtube.com/watch?v=Au_9Oagorb4


The Blue Lamp è un bel film, girato con piglio documentaristico, una grande operazione di immagine per celebrare l'efficienza della polizia londinese. Una pellicola talmente azzeccata da vincere il premio Bafta (una sorta di Oscar d'oltremanica) e da ispirare una serie televisiva durata quasi vent'anni.
The Blue Lamp, insomma, è il classico "police procedural". In Italia questo film è stato distribuito con un titolo incongruo - "I giovani uccidono" - , che io sappia è passato in tv solo una volta (l'ho visto da ragazzino e ricordo che mi piacque molto).
Il titolo originale si rifà alla lanterna blu che segnalava un tempo le stazioni di polizia in Gran Bretagna.
Una curiosità: le vetture usate da Scotland Yard del film diretto da Basil Dearden sono Humber Super Snipe MkI, un modello lanciato nell'immediato dopoguerra, molto utilizzato per impieghi governativi e dalle prestazioni, per l'epoca, adeguate alle esigenze della polizia (128 chilometri orari di velocità massima, una performance più che soddisfacente, considerati gli standard del tempo).
Altra curiosità: leggendo i titoli di testa di The Blue Lamp ci si imbatte nel nome di Bernard Lee.
Molti anni dopo questo attore sarebbe stato uno dei volti più noti della saga cinematografica di James Bond, come interprete (di lungo corso) di "M", alias l'ammiraglio Sir Miles Messervy, il burbero capo di 007.
p. s. : Di 007, su questo blog, ho parlato anche qui

http://giovannicapozzi.blogspot.com/2010/10/james-bond-and-beatles-these-are.html

sabato 2 ottobre 2010

Pensieri in una giornata solare

 In una giornata come questa sembra che nulla possa farmi male. Ma, in verità, nulla può farci veramente male. Se non noi stessi.


(vorrei essere sempre così saggio)

giovedì 30 settembre 2010

L'ultima volta

Quasi mai nel fare una cosa per l'ultima volta nella nostra vita sappiamo che è così. La vita raramente ci consente di avere la consapevolezza dell'ultima volta. Ma spesso questa rara consapevolezza induce un grande senso di libertà interiore.

mercoledì 22 settembre 2010

Un feretro ti allunga la statura. O no?


Commemorazioni, cordoglio, lacrime-Lacoste. 

Fra qualche giorno - per esempio - a Napoli ci sarà una commemorazione di peso.

Con l'inevitabile orgia di retorica (e di cattiva coscienza).

Ci si arrampica sui feretri per sembrare più alti. 

Ma i pigmei restano tali. Anzi, lo diventano ancora di più.

giovedì 26 agosto 2010

Il forno a microonde

Facebook è spesso un forno a microonde. Un forno a microonde virtuale in cui si scongelano e si ammanniscono pensieri altrui, in assenza dei propri.

lunedì 23 agosto 2010

Il bon ton ai tempi di Facebook

Il galateo del web – la cosidetta Netiquette – dovrebbe essere ormai un patrimonio consolidato di tutti gli internauti (il condizionale è d’obbligo).
Ora provo a buttare giù qualche regoletta di bon ton per noi che frequentiamo la piazza virtuale di Facebook.
Avvertenza preliminare: so già che spesso non rispetto le regole che io stesso ho elencato (e temo che in futuro continuerò a non rispettarle). Diciamo allora che queste regolette rappresentano un quaderno di intenti. Una dichiarazione di buona volontà. Un mio punto di vista.


Andiamo a incominciare.
1)   Resistere alla tentazione di correggere pubblicamente gli strafalcioni altrui. Lo so, a volte è una tentazione irresistibile, ma questo significa uno sputtanamento plateale dell’autore. Dunque non è bon ton. Non si fa. Se proprio volete fare i pedanti ricorrete al servizio di posta interno a Fb e cercate di essere garbati. C’è solo un’eccezione a questo suggerimento: la correzione pubblica, sferzante e odiosa, può essere una buona strategia per liberarvi di un contatto di cui ne avete abbastanza, senza darvi la pena di cancellarlo. Lo farà lui.
2)   Non fare troppo gli “splendidi” sulle bacheche altrui. Vale a dire: evitate di tacchinare eccessivamente le signorine, di impegnarvi in lunghi botta&risposta, di parlare di fatti che al titolare della bacheca interessano poco o nulla. Per fare tutto questo esistono altri luoghi e altri strumenti. Anche in questo caso spesso il servizio di posta interna di Fb è prezioso.
3)   Usate il “tag” con discrezione: magari al taggato/a può seccare essere evidenziato/a in foto dove è venuto/a, oggettivamente, un cesso. Inoltre ci possono essere situazioni in cui il taggato si è lasciato andare per una sera, ma di cui magari si è già pentito il giorno dopo. In questo caso il tag, con l’effetto di amplificazione del ricordo che comporta, è solo un’inutile crudeltà. O una deliziosa forma di perfidia.
4)   Evitate gli ingressi a gamba tesa nelle bacheche altrui. Questa è una forma di maleducazione diffusissima su Fb. Più spesso è una mancanza di sensibilità. Esistono frasi, citazioni, ammiccamenti che chiaramente si rivolgono solo a uno o a pochi (io li chiamo i “messaggi di Radio Londra su Fb”). Di solito non ci vuole molto a individuarli e dunque dall’astenersi dai commenti.

Per ora mi fermo qui. Non so se aggiungerò altre regole. Insomma, ci penserò: anche perché rischio di predicare bene e razzolare male ;-).

sabato 21 agosto 2010

Dello scrivere / Un work in progress - Nuovo aggiornamento: Scrivere come scuola di (auto) discipina.


Scrivere è un piacere, ma è anche una grande scuola di disciplina. Una scuola di auto-disciplina. Scrivere ti abitua a non essere pigro. A trasformare riflessioni talvolta caotiche in un discorso coerente e che possa essere condivisibile.

Scrivere è dunque fatica. Scrivere è spesso frustrante. Tante volte hai in mente parole, frasi, concetti, immagini. Hai “tutto qui”. Ma quando poi metti nero su bianco il risultato ti appare deludente. E allora bisogna rifare, rifare e rifare.

Con umiltà e fatica. Talvolta capita (a volte mi capita) che la scrittura di getto funzioni, ma molte volte non è così. E quindi bisogna lavorare e sudare.

Chi, come me, scrive per mestiere credo sappia bene che cosa voglio dire.

E nella professione giornalistica, a rendere il tutto più complicato, c’è anche la variabile-tempo: sempre scarsa, sempre angosciante. E c'è la consapevolezza che - ti piaccia o no, ne abbia voglia o no - devi comunque realizzare la tua performance.

Insomma, io non credo al modello genio&sregolatezza per la scrittura. E lo scrivere essenziale, che per me rappresenta il modello perfetto, è un traguardo che si raggiunge con difficoltà e con esercizio.

Scrivere è un modo di presentare noi stessi al mondo. Per questo motivo mi sforzo sempre di non essere sciatto nella scrittura. E lo faccio in ogni occasione: se scrivo a un amico, se chatto, se scrivo una nota su Fb. Perfino quando mando un sms. Lo faccio perché mi sembra una forma di rispetto nei confronti di coloro ai quali mi rivolgo e anche perché è una forma di rispetto verso di me.

Ripeto: scrivere è una scuola di disciplina. E forse i maggiori maestri di questa scuola sono alcuni scrittori di grande presa sul pubblico. Ma di questo parleremo più avanti. (continua)

venerdì 20 agosto 2010

Spaghetti post dibattito letterario - Ricetta istantanea

Se torni a casa, in una calda sera d'estate, dopo uno stimolante dibattito letterario dedicato al mal d'amore, e hai un certo appetituccio (condiviso dalla tua mogliettina), che cosa fai?
Semplice, inventi una ricettina veloce veloce e sfiziosa.
Gli spaghetti post dibattito letterario.
Facili e gustosi.
Metto sul fuoco l'acqua per la pasta. Intanto in un tegamino faccio soffriggere uno spicchio d'aglio con olio extravergine, ci aggiungo tre o quattro filetti d'acciuga, una scatoletta di tonno sminuzzato, un pugnetto di capperi, sette/otto olive nere (denocciolate, mi raccomando!), un pizzico di origano, qualche goccia di salsa Tabasco.
Sfumo il tutto con del vino bianco.
Intanto l'acqua giunge a bollore: butto gli spaghetti e amalgamo la salsina con qualche cucchiaio d'acqua di cottura. Completo con abbondante prezzemolo tritato e una spolverata di pecorino.
Condisco con questo intingolo gli spaghetti scolati al dente e ci beviamo sopra un bel rosato di Marino, fresco di frigo.
Volete favorire?
(p. s. : scusate se il post appare scritto di volata: l'ho buttato giù intanto che gli spaghetti cuocevano)

La saga di Antoine Doinel - Un unicum nella storia del cinema


Cinque film nell'arco di quasi vent'anni (1959/1978), un solo regista, un solo attore, un solo personaggio: Antoine Doinel.

E' l'identikit di un'esperienza artistica e cinematografica assolutamente unica del suo genere, frutto del genio di Francois Truffaut.

Una saga di cui l'anno scorso si è celebrato il cinquantennale.

Doinel è l'alter ego di Truffaut, un personaggio attraverso il quale il regista racconta la sua difficile adolescenza, il suo contrastato rapporto con la madre, i suoi amori, la sua visione del mondo, della letteratura, dell'amicizia.

A intepretare Doinel è l'attore Jean Pierre Leaud che gli spettatori vedranno crescere e maturare nel corso della saga (nel primo film ha 14 anni, nell'ultimo ne avrà quasi 35).

Nel primo episodio della saga Doinel è quello che si definirebbe un adolescente difficile.

E non a caso il titolo è "Les 400 coups", ovvero "I 400 colpi", intraducibile espressione gergale che grosso modo significa "Il diavolo a quattro".

Nelle varie tappe della saga Doinel scopre il magico potere dell'arte, della musica, della letteratura e della parola, scopre l'amore e le donne, vive le sue delusioni sentimentali, si arruola volontario nell'esercito (da cui viene congedato con biasimo), si sposa, ha un figlio, divorzia, scrive un libro, passa attraverso mille lavori (portiere d'albergo, correttore di bozze, operaio in una fabbrica di dischi, detective privato, collaudatore di modelli navali), inizia una nuova storia di coppia....

Tutto un percorso di vita raccontato sullo schermo: il "ciclo Doinel" ripropone in forma cinematografica il genere del "romanzo di formazione".

E al personaggio di Doinel apportano via via emozioni e sfumature tanto il regista Truffaut che l'attore Leaud (i quali a loro volta danno vita a un sodalizio artistico e amicale che durerà tutta la breve vita del regista, che si spense ad appena 52 anni nel 1984).

Una saga tenera, commovente e coinvolgente, a tratti drammatica, spesso francamente comica, mai banale. Una grandissima pagina di storia del cinema.

Il ciclo Doinel è un unicum nella storia del cinema e tutti i titoli che lo compongono sono disponibili su Dvd:

Les 400 coups (1959)

Antoine et Colette (episodio del film "L'amore a vent'anni, 1962)

Baisers volés (1968)

Domicile Conjugal (1970)

L'amour en fuite (1978)

giovedì 19 agosto 2010

Interrogativi teologici in famiglia

L'altro giorno, mio figlio (undici anni a dicembre) mi fa:
"Papà quando è nata l'idea di Dio così come noi oggi la conosciamo?".
Non ho saputo rispondere, confiteor...

mercoledì 18 agosto 2010

La Rivoltella - Un'occasione sprecata


Nella prima metà degli anni Cinquanta la Iso Rivolta lancia un'innovativa minicar: la Isetta.
Il progetto è firmato da Ermenegildo Preti. E' un bell'esercizio di design: vi si accede da un'unica porta anteriore ed è tanto piccola che può essere parcheggiata perpendicolarmente al marciapiedi. Alla presentazione Preti e il patron Renzo Rivolta si divertono a stupire la stampa con un'auto uguale a nessun altra.
Ma l'Isetta ha due difetti: costa troppo (circa mezzo milione dell'epoca: a quel prezzo ti porti a casa una Topolino che è molto più "macchina") e non sembra un'automobile, ma un piccolo elicottero senza rotori (difetto gravissimo per gli italiani che consideravano e considerano l'auto come uno status symbol).
Risultato: in Italia l'Isetta è un fiasco.
La Iso Rivolta, allora, cede a mezzo mondo i diritti di fabbricazione e oltrefrontiera la vetturetta è un successo.
In Germania, fra l'altro, risolleva le fortune della Bmw.
Eppure anche in Italia la sorte di questa simpatica proto-Smart poteva essere diversa. Sarebbe bastato chiamarla in modo diverso. Pensàteci.
Era prodotta dalla Iso Rivolta, no? E allora perché non chiamarla RIVOLTELLA?
Poteva funzionare. Volete mettere l'effetto che fa - per un popolo che punta sull'apparenza - dire "Vado in giro con la Rivoltella", piuttosto che dire "Vado in giro con l'Isetta"?
E ancora: "Ho comprato la Rivoltella", "Vado a prendere la mia ragazza con la Rivoltella", "La Rivoltella si infila dappertutto", "La Rivoltella è l'ideale per la città". Tutto un altro effetto.
Rivoltella: un'occasione mancata.
Quasi da spararsi.

p.s. : questa lezione devono averla appresa, anni dopo, gli americani della Chevrolet e i giapponesi della Mitsubishi. Nascono così la Chevrolet Beretta e la Mistubishi Colt.

p.p.s. : questa, naturalmente, è solo una provocazione. Un esercizio di marketing demenziale.

martedì 17 agosto 2010

Motivazione versus demotivazione - Ossia: preferire una Fiat a una Ferrari


“Sono demotivato”, “il mio capo mi demotiva”: frasi che si sente ripetere spesso, sempre più spesso, in questi ultimi tempi.
Un risorsa motivata significa una risorsa di qualità, pronta a dare il meglio. Pronta a impegnarsi senza risparmio, creativa, portatrice di innovazione e di valore.
Quindi sembrerebbe ovvio che motivare le persone sia una scelta SEMPRE preferibile. Che si tratti di una scelta vantaggiosa.
Ma è proprio vero?
Forse no.
Una risorsa motivata significa una PERSONA CONSAPEVOLE DEL SUO VALORE. Una persona in grado di decidere e valutare autonomamente (e di assumersi le responsabilità delle sue decisioni e delle sue valutazioni).
Una persona che impone sfide audaci all’organizzazione per la quale lavora e a coloro che sono chiamati a dirigerla.
Siamo sicuri che oggi le strutture lavorative abbiano bisogno di queste risorse?
Forse no. Forse non sempre.
Forse oggi si preferisce disporre di risorse demotivate, meno creative, più deboli, dunque più ricattabili. E quindi anche più gestibili (nel breve termine, beninteso).
Il meccanismo SISTEMATICO della demotivazione è una strategia praticata più o meno consapevolmente in modo sempre più diffuso e pervasivo.
Una delle sue facce è il mobbing, un tema troppo ampio e drammatico perché si possa esaurire in questa breve nota (ma ne riparleremo).
Una risorsa umana motivata è come una Ferrari: auto dalle alte prestazioni, che trasmette forti emozioni. Che può garantire risultati, in termini di performance, fuori dal consueto. Ma una Ferrari occorre saperla pilotare. E, naturalmente, essere pronti a gestirne i maggiori costi.
Non tutti ne sono capaci. Non tutti sanno gestire 500 e passa cavalli, accelerazioni fulminee e prestazioni esaltanti.
Una Ferrari, a non saperla guidare, ti porta fuori strada (per tacer dei costi di gestione, ovviamente).
Una risorsa umana demotivata è invece come una Fiat: ti porta in giro onestamente, senza emozioni. Ha una gestione economica. Ci metti benzina, olio, fai i tagliandi e ci cammini.
Tutti (quasi tutti) sanno guidare una Fiat. E a bordo della loro Fiat percorrono, giorno dopo giorno, i loro percorsi quotidiani. Senza emozioni, ma anche senza sfide e senza incertezze.
Molti – forse - preferiscono risorse demotivate, per le stesse ragioni che inducono a preferire un’affidabile Fiat a un’emozionante Ferrari.
Preferiscono avere sotto il piede 70 tranquilli ed economici cavalli, piuttosto che 500 e passa cavalli da gestire impegnativamente.
Ferrari versus Fiat, insomma. Spesso la bilancia pende verso la Fiat.
Alla lunga – FORSE – è uno spreco. Ma a breve termine è pur sempre una strategia. Sicuramente furba, non so quanto intelligente.
(p. s. : forse ho usato troppo spesso l’avverbio “forse”. Forse è per non turbare gli spiriti troppo sensibili)

Ho incontrato John Lennon


Ho appena fatto un sogno che spero mi porti fortuna. Sono reduce da un appuntamento onirico con John Lennon e - per un beatle fan come me - è il massimo. Il ricordo è confuso, peccato. Di certo so solo che incontravo John in metropolitana e che alla fine dell'incontro scriveva qualcosa per me (forse una dedica?) in un grosso volume illustrato dedicato ai Beatles (in effetti nella mia biblioteca ci sono numerosi volumi sui Fab Four).
Particolare non secondario: tra le pagine del volume intravedevo una corposa dedica scritta da Monica.
Chi è Monica?
Semplice: è stata la mia ragazza per otto anni, tanto tempo fa.
Ci incontrammo quando conducevo a Radio Marte un programma dedicato ai Beatles, "Abbey Road". Era una fan anche lei.
E così, sulla spinta di un interesse comune, iniziammo a frequentarci e poi nacque una storia che mi ha accompagnato per un lungo periodo della mia vita e che è finita quando era giusto che finisse.
Insomma, ho sognato John Lennon, ma ho anche rivisto un pezzo del mio passato. Ed è stato tutto molto sereno.

lunedì 16 agosto 2010

Dello scrivere / Un work in progress - Nuovo aggiornamento: l'io narrante



Oggi si parla di scrivere per raccontare e dell’utilizzo dell’IO narrante: una scelta seducente, ma impegnativa. Raccontare le cose da una prospettiva soggettiva non è semplice: richiede una regia complessa dell’intreccio.
Nel campo della letteratura “di evasione” (definizione limitativa, come tutte le definizioni, del resto) ci sono almeno due autori che hanno utilizzato magistralmente l’io narrante: Peter Cheyney e Frederic Dard, entrambi celebri firme del romanzo poliziesco.
Il primo è il creatore dell’agente dell’Fbi Lemmy Caution, il secondo è l'inventore del Commissario San Antonio (personaggio nato come clone di Lemmy Caution, ma presto assurto a cifre di assoluta originalità, anche linguistica).
Un interessante uso dell’io narrante lo fa Roberto Perrone nel suo “Averti trovato ora” (Mondadori, 2008): reportage di una storia d’amore fra un calciatore di successo (ma atipico e forse improbabile) e un’affascinante quarantenne. Interessante, nel romanzo di Perrone, anche l’utilizzo di brani di email e di sms che consentono di variare la prospettiva del racconto, pur mantenendo l’io narrante.
Ci sono poi autori che riescono a passare dalla prima alla terza persona, ma occorrono virtuosismo e non comune tecnica narrativa. Alternare le prospettive del racconto può diventare allora vera e propria cifra stilistica. Ma è una partita che pochi riescono a giocare con scioltezza.

mercoledì 11 agosto 2010

Dello scrivere / Un work in progress


Da qualche giorno ho iniziato a fissare su Fb qualche mia idea in fatto di scrittura. Sono opinioni strettamente personali e non è detto che tutti debbano condividerle. Adesso mi diverto a collazionarle.

L'AGGIORNAMENTO DI OGGI - 12 agosto 2010 - E' QUESTO:
› Una semplificazione spesso inutile, è il ricorso alle parole straniere. Location, briefing, trendy, management, calling (e re-calling), mission (e - naturalmente - vision), input e via sciocchezzando: quando mi ci imbatto mi scappa spesso il "vaffa".
Ho la sensazione che usare parole straniere a sproposito sia un modo di mostrare quanto si è fighi e globali, ma spesso la sensazione è da discount di Casalpusterlengo. In questo caso è in svendita l'intelligenza. (p. s. : e non state a criticare se ho usato la parola "discount", in questo caso è appropriata. L'ho deciso IO).

E QUI CI SONO LE CONSIDERAZIONI DEI GIORNI SCORSI:
› In fatto di punteggiatura ho i miei gusti: amo il punto fermo, mi piacciono le virgole, ignoro il punto e virgola. il punto esclamativo è inutile e provinciale. Invidio gli amici spagnoli che mettono il punto interrogativo all'inizio e alla fine delle domande. E' un'intelligente semplificazione.
› Scrittura creativa: l'espressione non mi piace. La scrittura è sempre creativa. Anche il cronista nell'usare un aggettivo o un altro, nel costruire una frase, nello scegliere la punteggiatura, dà una sua interpretazione della realtà. E dunque la crea. O la ricrea.
› Puntini e virgolette per enfatizzare parole e concetti: un espediente dilettantesco. Sono come l'acne sul viso: deturpano e basta. Se poi, come talvolta accade, il viso è già brutto di suo, l'esito è disastroso.
› Lo strumento con cui si scrive è importante. Oggi molti riscoprono carta e penna. Personalmente preferisco sempre il computer. Ha un vantaggio: ti fa superare la paura del foglio bianco. Una paura insidiosa: si dice fu alla base del suicidio di Tommaso Besozzi, il giornalista che scoprì le incongruenze nella versione ufficiale della morte di Salvatore Giuliano.
› Aggettivi: uno strumento insidioso. Spesso sono superflui. Usarli goffamente è un rischio sempre in agguato. In pochissimi hanno fatto dell'aggettivazione sontuosa e fantasiosa una cifra stilistica degna. Ma bisogna essere D'Annunzio. O almeno Frédéric Dard.
› Le coordinate e le subordinate sono insidiosissime. Appesantiscono. Meglio frasi brevi. E' indispensabile nello stile giornalistico e va bene quasi sempre anche per altri tipi di scrittura. Bisogna solo stare attenti allo stile-telegramma. Ma del resto di Manzoni ce n'è uno solo. Il ramo del lago di Como, eccetera, eccetera lasciamolo a lui.
› Metafore e traslati vanno usati con cautela. Sono come le pistole cariche. Se si sanno usare si fa centro. Altrimenti ci si spara nei piedi. O peggio. (Work in progress - Continua)

Sono dalla parte di Giuda.


A volte sono dalla parte dell'Iscariota.

E' lui il vero agnello di Dio.
Deve rinnegare il suo Signore perché tutto si compia. Perché si compia un processo di redenzione. E' Giuda il nodo della vicenda.
Lo strumento della redenzione.
E poi finisce suicida dopo aver intascato i suoi trenta denari.
Giuda. Un personaggio tragico e umano.
Sto dalla parte di Giuda. Almeno oggi.