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martedì 20 novembre 2012

Intervista con Paolo Mieli: il giornalismo, il web e la storia

Paolo Mieli
Il modello della stampa generalista è destinato al tramonto, i giornali cartacei di domani saranno sempre più snelli e specializzati e la convergenza di contenuti informativi multimediali sul web è ormai una strada obbligata, specie per i periodici. E’ questo lo scenario che traccia Paolo Mieli, già direttore del Corriere della Sera e attualmente presidente di Rcs Libri, nell’intervista che segue, fatta in occasione della sua venuta a Napoli di sabato scorso. Mieli infatti è stato nella mia città nella sua veste di direttore della Scuola di giornalismo dell’Università Suor Orsola Benincasa, per presentare il tema del nuovo libro-inchiesta prodotto dagli allievi del secondo anno del biennio. Il tema scelto quest’anno è la figura di Achille Lauro e il suo tempo. È l’occasione, come ha sottolineato Mieli, per ricordare un Peron all’ombra del Vesuvio, un personaggio certamente “grezzo”, ma precorritore dei tempi nelle sue molteplici vesti di sindaco di Napoli, di imprenditore, di editore di un giornale – il Roma – che, sebbene schierato su posizioni conservatrici, fu all’avanguardia per quanto riguarda le tecniche tipografiche, le strategie di marketing e alcune iniziative editoriali, come il “dorso” del lunedì dedicato allo sport, su carta rosa o il supplemento domenicale dedicato ai programmi televisivi, lanciato nella seconda metà degli anni Sessanta, prima iniziativa del genere di un quotidiano in Italia.

Direttore, la recessione sta accelerando, forse, un processo già in atto di profonda trasformazione dei giornali, del giornalismo, del fare informazione: dove ci porta questo percorso?
Parto da una premessa positiva: la domanda d’informazione è in aumento, e c’è bisogno anche di interpretare il flusso di notizie sempre crescente. Ma c’è anche la necessità di far quadrare i conti: i quotidiani devono adeguarsi a queste esigenze. Quindi sarà inevitabile snellire l’edizione cartacea e dunque le redazioni tradizionali, abbandonare il sogno delle grandi tirature e rafforzare l’integrazione con il web. I siti Internet dei giornali tradizionali ormai da tempo stanno dimostrando di poter produrre valore.
Come vede questo gioco di squadra tra web e carta?
Al web spetta il compito di dare la notizia, tempestivamente, anche con l’integrazione di contenuti multimediali. Alla carta il compito di interpretare i fatti, di spiegarli. Una sfida non facile. E’ quanto già accaduto, del resto, con l’avvento della radio prima e della televisione poi. Ora la sfida si gioca sul fronte della tempestività, ma anche della qualità e dell’originalità.
E il futuro della stampa periodica?
Credo che quanto accadrà a Newsweek, storico magazine statunitense che verrà diffuso solo in rete dal gennaio del prossimo anno, sia un processo inevitabile. Col tempo prevedo che sul versante dei periodici sopravviverà in forma cartacea solo la stampa periodica specializzata, di nicchia. Avrà ancora un futuro, credo, anche la stampa popolare, che si definisce trash. Gli altri contenuti, anche se di qualità, finiranno sul web.
Il nodo ancora irrisolto, si ripete spesso, è portare a reddito in modo adeguato l’offerta proposta sul web. Lei è d’accordo?
E’ vero, c’è ancora molto da lavorare su questo fronte. Inoltre un’offerta web di qualità è comunque costosa e presuppone investimenti, sia tecnologici che in risorse umane.
Come se ne viene a capo?
Premetto che non sono un esperto di questo settore e purtroppo non ho nemmeno la classica sfera di cristallo. Posso solo rifarmi ad esperienze del recente passato, come quella delle emittenti televisive private.
Un settore nel quale, nei primi anni Ottanta, si scottarono pesantemente i maggiori gruppi editoriali…
Infatti, mancava l’idea, mancava l’uovo di Colombo. I progetti dei grandi editori non funzionarono. Poi arrivò la Fininvest e lo scenario cambiò. Ora, specie in Italia, anche la rete attende quell’uovo di Colombo che determinò il grande sviluppo della televisione commerciale nel nostro Paese.
Intanto però i contenuti messi in rete sui siti web dei giornali vengono spesso saccheggiati.
Non c’è dubbio. Oggi i contenuti web dei giornali sono ancora una risorsa che alimenta altri segmenti della rete stessa. Si diventa fornitori senza corrispettivi. E’ evidente che alla lunga il sistema non potrà reggersi. Alla fine chi paga per questo flusso di informazione messo in rete e che rimbalza sulla rete stessa? Occorrono anche nuove forme di tutela della proprietà intellettuale.
I grandi gruppi editoriali dell’occidente potranno avvantaggiarsi della globalizzazione?
Lo stanno già facendo, anche se è un fenomeno su cui non sono stati puntati ancora i riflettori. Molti gruppi editoriali occidentali, per esempio, stanno realizzando per i mercati emergenti di India e Cina periodici di intrattenimento leggero, per esempio destinati al pubblico femminile. E’ anche una strategia per creare nuovi mercati: l’offerta di contenuti leggeri potrà avvicinare il pubblico di quei paesi alla lettura, al consumo della carta stampata.
Sara Angrisani
Lei è qui a Napoli anche per presentare “Aspirante Precaria” il video reportage con cui l’allieva della Scuola di giornalismo del Suor Orsola Sara Angrisani (nella foto qui accanto) ha vinto la prima edizione del Premio “Professione  Reporter”, bandito dall'Ansa fra gli allievi delle scuole di giornalismo riconosciute dall'Ordine. Che cosa insegna il premio a Sara Angrisani in termini di nuovi modi di fare informazione?
Insegna, anzitutto, che anche con i nuovi mezzi è possibile raccontare buone storie. Cimentandosi con il tema proposto – raccontare l’Italia al tempo della crisi - Sara è riuscita a costruire un video efficace, in cui ci fa conoscere la storia di un’insegnante precaria che sceglie di lavorare in perdita sostenendo costi superiori alle sue entrare per insegnare in una scuola del Friuli solo per guadagnare punti in graduatoria. Una storia drammatica e paradossale: per raccontarla Sara ha dimostrato padronanza dei tempi, del mezzo e del linguaggio delle immagini.
Direttore, lei insegna Storia contemporanea alla Statale di Milano, ma è anche noto al pubblico televisivo come divulgatore di storia, col suo programma “Correva l’anno”. Si dice spesso che i giovani non hanno memoria storica e quindi non riescono a capire il presente. E' d’accordo?
Sì, le lacune ci sono. Ma c’è anche una forte esigenza di capire il proprio passato.
Chi ha la colpa di queste lacune?
Probabilmente il nostro sistema scolastico, ormai invecchiato. Un sistema che non è riuscito a rendere la storia accattivante, interessante. Che non è stato al passo con i nuovi linguaggi.
In compenso non c’è mai stata come ora una scelta così ampia di divulgazione storica televisiva, con canali dedicati, sia sulla piattaforma satellitare che su quella terrestre.
Ed è una scelta che paga, specie con le nuove modalità di fruizione. Col sistema “on demand” è possibile ripescare dagli archivi elettronici una trasmissione interessante alla quale non si è potuto assistere.
Quali sono i contenuti storico-divulgativi che interessano maggiormente il pubblico e in particolare quello dei giovani?
Ho scoperto che spesso interessa la storia dei perdenti, dei vinti, delle pagine oscure delle nostre vicende recenti. Per fare un esempio: registriamo ascolti molto superiori alla media con le trasmissioni dedicate al nazismo e alla caduta di quel regime. Il che, considerate le mie origini ebraiche, mi pone spesso interrogativi inquietanti.
Nella sua veste di divulgatore, come si pone rispetto alla necessità di proporre la storia in modo da interessare anche i giovani?
Il mio metodo è molto semplice: si tratta di prendere la versione ufficiale dei fatti (questo criterio mi è servito molto anche per il giornalismo) e di andare a vederne quanto meno i risvolti, i conti che non tornano, e poi porsi delle domande. Se le cose non fossero andate davvero così? Se quelli che vengono considerati i "buoni", fossero un po' meno buoni di quanto ci appaiono? E i cattivi fossero stati meno cattivi di quanto ci è stato fatto credere? Queste domande fondamentali sul capovolgimento hanno ispirato sempre i miei interessi e hanno portato a risultati molto curiosi nel rifare la storia. E sono risultati che il pubblico trova interessanti.
E qual è il “cattivo” della storia che maggiormente la intriga?
Direi Stalin: un personaggio presentato come la faccia demoniaca del comunismo. Su Stalin ricadono indubbiamente responsabilità enormi. Ma è semplicistico presentare lo stalinismo come degenerazione del comunismo. Per esempio, nell’operato di Lenin e di Trotsky si possono spesso scoprire le stesse degenerazioni. In questo caso una corretta forma di divulgazione serve a riportare i fatti nella giusta cornice.

Fin qui l’intervista, che è stata anche pubblicata sul numero di dicembre di Den, il mensile del Denaro (www.denaro.it).
Ora alcune informazioni (per le quali ringrazio l'amico e collega Roberto Conte, dell’ufficio stampa del Suor Orsola) sulle inchieste degli allievi del Suor Orsola e sulla scuola di giornalismo diretta da Mieli.

Le inchieste collettive della Scuola di Giornalismo pubblicate nella  collana “I Quaderni di Desk” (edizioni dell’Università Suor Orsola Benincasa con l’Unione cattolica della stampa italiana e con il  Centro di Documentazione Giornalistica di Roma), sono indagini  storico-giornalistiche proposte da Paolo Mieli per il secondo anno di  ogni biennio e composte dai contributi di tutti gli allievi con la  supervisione dello stesso Mieli ed il coordinamento redazionale di Eugenio Capozzi (è solo un omonimo dell'autore di questo blog), professore di Storia contemporanea nell’Università  Suor Orsola, di Mirella Armiero, responsabile delle pagine culturali  del Corriere del Mezzogiorno e, nell’ultimo volume, di Carmine Festa, caporedattore del Corriere del Mezzogiorno.
La Scuola di Giornalismo “Suor Orsola Benincasa”, nata nel 2003 come prima Scuola di Giornalismo del Mezzogiorno peninsulare, ha già  realizzato quattro volumi di inchieste giornalistiche 
prodotte dagli allievi di ciascun biennio: “Giovanni Leone: un caso giornalistico degli anni ’70” (Biennio 2003-2005) ; “1973: Napoli al  tempo del colera” (Biennio 2005-2007) ; “Terremoto e trent’anni di cricca”(Biennio 2007-2009), “Enzo Tortora: processo a un uomo perbene” (Biennio 2009-2011 - in corso di pubblicazione).



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